Olivicoltura, dal declino alla trasformazione

Olivicoltura, dal declino alla trasformazione

Il settore olivicolo italiano sta attraversando una fortissima crisi strutturale produttiva ed economica, ma anche ambientale e sociale, riconducibile soprattutto alle difficoltà nell’adattarsi rapidamente ai profondi cambiamenti in atto nel contesto economico ed istituzionale.

I numeri di questa crisi sono impietosi: a fronte di una superficie olivicola nazionale di 1,1 milioni di ettari, la produzione di olio di oliva è bassissima ed in costante diminuzione dai 600.000 ton del 2000 agli attuali 300.000 ton (media degli ultimi 4 anni), mentre il consumo e la produzione mondiale sono in costante aumento.

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La situazione italiana dell’olio di oliva

I dati delle principali variabili del settore olivicolo-oleario evidenziano immediatamente le caratteristiche (fonte: Ismea):

  • produzione tendenzialmente in calo e soggetta a un’eccessiva variabilità che va oltre la normale alternanza anche se negli ultimi 4 anni la variabilità è inferiore rispetto a dieci anni prima;
  • consumo sempre superiore alla produzione, a dimostrazione che l’Italia non è autosufficiente;
  • import sempre superiore all’export il che rende il saldo della bilancia commerciale strutturalmente negativo in volume ma anche in valore (salvo rare eccezioni quali il 2020);
  • import necessario per soddisfare la domanda interna e le esportazioni.

La produzione dell’olio di oliva nel 2022 è scesa a 235.000 ton (stime Ismea).

Dopo il crollo del 2020, nel 2021 e nel 2022 i prezzi dell’olio di oliva sono sensibilmente aumentati (+80%), ben più dei costi di produzione, comunque anch’essi aumentati (+20%).

La situazione produttiva

La filiera olivicola-olearia, più di altre filiere agroalimentari, ha conosciuto una rapida crescita dei volumi di offerta e l’internazionalizzazione del mercato dell’olio di oliva. La continua crescita della domanda mondiale di oli di oliva ha determinato un aumento del commercio internazionale e sensibili mutamenti nella geografia degli scambi di questo prodotto. In particolare, è ampiamente cresciuto il potenziale produttivo della Spagna e il peso sui mercati mondiali di alcuni Paesi extra-UE del Bacino del Mediterraneo (Tunisia, Siria, Turchia e Marocco) in concomitanza con un crescente ruolo produttivo di alcuni Paesi “emergenti” (Cile, Australia, Argentina, etc.).

Sul piano istituzionale, la riforma della politica agricola comune ha visto il sostanziale smantellamento delle politiche di prezzo e di mercato e il rafforzamento della politica di sostegno al reddito disaccoppiato dalla produzione. Tutti questi mutamenti si inseriscono in un quadro strutturale dell’olivicoltura italiana ancora caratterizzato da una forte polverizzazione aziendale (dimensione media della superficie aziendale investita a olivo di poco superiore a 1 ettaro) e dalla prevalenza di impianti tradizionali.

Questi sono generalmente caratterizzati da un numero limitato di piante inferiore a 250 ad ettaro, sesti spesso irregolari, età elevata, con notevole dimensione dei tronchi e delle chiome, a volte in consociazione con altre colture e assenza di irrigazione. Ciò determina un’accentuata alternanza di produzione, buone rese per singolo albero, ma scarsa resa per unità di superficie e molte situazioni di abbandono. Da sottolineare sono le limitate possibilità di meccanizzazione delle operazioni colturali e l’alta incidenza della manodopera sui costi. Pertanto, nonostante il continuo incremento della domanda mondiale, i livelli di prezzo risultano in molti casi insoddisfacenti per i produttori italiani che, per diversi motivi, sostengono costi di produzione più elevati rispetto a quelli dei produttori che operano nei principali bacini di produzione europei (Andalucia) e extra Ue (Tunisia, Turchia. Marocco, ecc.).

Tra i fattori che rendono difficoltoso il raggiungimento di un’adeguata redditività delle aziende olivicole italiane si ricordano: la limitata dimensione delle stesse, che non consente il conseguimento di economie di scala, la collocazione di molti oliveti in terreni in pendenza (collina/montagna), con le conseguenti difficoltà nella meccanizzazione delle pratiche colturali; il limitato rinnovamento degli impianti, la gestione agronomica non sempre ottimale. La situazione è amplificata anche dal fatto che in Italia gli oliveti tradizionali, in numerose situazioni, oltre alla funzione produttiva svolgono importanti funzioni ambientali, e/o paesaggistiche e pertanto non sono facilmente sostituibili.

La ristrutturazione degli oliveti

Il miglioramento della competitività dell’olivicoltura italiana e l’ottimizzazione dei costi di produzione richiedono, indubbiamente, la ristrutturazione degli oliveti e l’adozione di modelli olivicoli innovativi, intensivi e non necessariamente superintensivi.

I sistemi olivicoli intensivi sono contraddistinti da una densità di impianto che va da 250 a 400 piante ad ettaro con un numero di varietà limitato e con sesti regolari, generalmente in rettangolo, assenza di consociazioni e dotati di impianti di irrigazione ove possibile; gli alberi presentano una riduzione della dimensione delle chiome, un’anticipata entrata in produzione e una ridotta alternanza di produzione. Tutto ciò permette sia un buon livello di meccanizzazione, soprattutto della raccolta delle olive dall’albero che è effettuata mediante vibratore del tronco, e un’alta produttività di olio extra vergine di oliva per ettaro.

Per alcune aree e alcune aziende, si possono utilizzare gli impianti superintensivi o ad altissima densità che garantiscono una produzione di olio extra vergine di oliva pari ai sistemi intensivi e prevedono il passaggio dal concetto di albero singolo a quello di parete produttiva continua. Essi sono contraddistinti: da una densità di impianto superiore a 1.000 alberi per ettaro, forma di allevamento ad asse centrale, riduzione accentuata delle dimensioni delle chiome e una ridotta base elaiografica, precocissima entrata in produzione, riduzione della longevità economica dell’impianto. Tale sistema colturale consente l’impiego di potatrici meccaniche e di macchine raccoglitrici in continuo, come quelle usate per la vite, garantendo una elevatissima produttività di lavoro e una loro destinazione multifunzionale nel settore agricolo.

Sicuramente il miglioramento della redditività dell’olivicoltura italiana e l’ottimizzazione dei costi di produzione richiedono: il rinnovamento degli oliveti, l’adozione di modelli olivicoli innovativi, la razionalizzazione e la valorizzazione commerciale del prodotto, puntando sull’alta qualità e sulle forti potenzialità di differenziazione che il nostro Paese possiede, grazie alle numerose combinazioni ambiente/varietà di olivo che si traducono nella possibilità di produrre numerosi oli tipici.

Tutto ciò necessita urgentemente di una nuova strategia imprenditoriale e di una nuova politica, poiché l’olivicoltura nazionale, così come è strutturata oggi, non è in grado di competere economicamente con l’olivicoltura dei paesi emergenti dove i costi colturali, logistici e di trasformazione sono nettamente inferiori.

Cosa sta facendo la politica agraria per il settore?

L’Italia ha già intrapreso questa strada, seppure scontiamo un ritardo di 30 anni e il cambiamento procede troppo a rilento.

Le azioni principali sono le seguenti:

  1. interventi per il rafforzamento delle filiere tramite la modernizzazione delle dotazioni strutturali (fase agricola, trasformazione, stoccaggio, imbottigliamento e commercializzazione), miglioramento dei servizi offerti ai soci (servizi essenziali per piccoli produttori e mantenimento superficie olivicola), adesione regimi qualità, formazione e promozione;
  2. pagamenti diretti per sostegno al reddito, miglioramento qualità produzione, mitigazione/adattamento cambiamenti climatici e in favore dell’ambiente;
  3. pagamento accoppiato solo per olio IG;
  4. Eco-schema 3 per la salvaguardia olivi di particolare valore paesaggistico;
  5. interventi di sviluppo rurale per investimenti in azienda olivicola, per la modernizzazione dei frantoi, per impegni agro-climaticiambientali, per il miglioramento della qualità, per lo scambio di conoscenze e informazioni, per la gestione dei rischi;
  6. ammodernamento dei frantoi oleari, tramite il PNRR.

Per dare slancio all’olivicoltura italiana servono innovazione, imprenditorialità degli olivicoltori, progetti a lungo termine e contributi da parte del Ministero e delle Regioni, diretti ad una parte di oliveti secolari e/o paesaggistici, per il mantenimento del paesaggio storico, attraverso misure della PAC. Mentre gli altri oliveti vanno sostituiti con un’olivicoltura meccanizzata, innovativa, competitiva e di qualità, che contribuisce al paesaggio.

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